Arturo Martini

Arturo Martini nacque a Treviso nel 1889 da una famiglia di umilissime condizioni. Frequentò a Faenza la Scuola della ceramica, e successivamente studiò scultura a Treviso; nel 1909, a Monaco, fu allievo di A. Hildebrand, nel 1911 fu a Parigi. Dopo le esperienze secessioniste di Monaco, la formazione a Venezia e a Parigi (e l’adesione a diverse correnti artistiche come il Futurismo e il gruppo di Ca’ Pesaro) sviluppò la bidimensionalità delle prime opere, d’uno stilizzato primitivismo, per passare ad una ricerca di semplificazione dei volumi, che venne poi articolando in strutture serrate e di grande intensità plastica.

Nel 1914 partecipò alla II Secessione Romana e all’Esposizione Libera Futurista Internazionale. Nel dopoguerra, lasciatesi alle spalle le influenze simboliste ed espressioniste degli esordi, si dedicò a una forma di purismo plastico. Collaborò alla rivista “Valori Plastici” ed espose a Berlino con gli artisti legati ad essa, aderendo alla sintesi metafisica e alla tradizione classicista che caratterizzava il gruppo.

Tra il 1925 e il 1929 partecipò alle principali esposizioni a Roma, Milano e Venezia. Le opere realizzate in questo periodo evidenziano un momento di grande creatività in cui Martini fuse insieme, in un unicum rivoluzionario, le forme arcaiche, dall’arte etrusca e greca a quella dei maestri del Duecento e del Trecento, con nuove concezioni moderne.

Nel 1931 vinse il Premio per la Scultura alla I Quadriennale Romana e nel 1932 fu invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia. Eseguì anche grandi decorazioni per il palazzo di giustizia a Milano e complessi monumentali per diverse architetture.

Nel 1941 fu nominato docente all’Accademia di Venezia, fino al 1944, quando concluse le lezioni con la pubblica dichiarazione della “morte della scultura”; tale provocazione sarà pubblicata nel libro La scultura lingua morta, affidato a Silvio Branzi.

L’anno successivo, in occasione del bimillenario della nascita di Tito Livio, scolpiva il monumentale marmo Tito Livio. Collocato dinanzi alla parete minore di Palazzo Liviano dell’Università di Padova, il possente Livio è figurato “solo con la storia”, senza allegorie, in stretto dialogo con l’architettura di Gio’ Ponti e nobilitata dal grande affresco “archeologico” di Campigli.

Nell’estate del 1946 portò a termine un altro marmo, “classico” ed estremo, per l’Atrio degli Eroi di Palazzo Bo: il Palinuro. L’opera venne esposta in onore degli studenti caduti nella guerra di resistenza.

Deciso a tornare con la famiglia a Vado Ligure, l’artista morì improvvisamente a Milano nel 1947.

Nel 1948 furono pubblicati postumi alcuni suoi pensieri sotto il titolo Il trucco di Michelangelo.