Nicolò Tron
«È Schio un fenomeno dell’industria, è una dimostrazione di quant’ella, anche in breve periodo d’anni, possa influire all’accrescimento dell’umana specie ed a renderla utile allo stato. Di fatti, mentre già trent’anni trovavasi questa terra scarsa di abitatori e per la maggior parte oziosi e miserabili, tiene al presente una popolazione di oltre sei mila persone, attive ed instancabili nelle loro occupazioni…
Di tale felice cambiamento n’è dovuto tutto il merito a Nicolò Tron.» Queste parole scritte da Francesco Griselin nel 1765 meglio di altre possono forse introdurre alla conoscenza di un personaggio che, non scledense, operò per il bene della nostra città dando nuovo vigore all’attività laniera in essa decaduta e precorrendo per ampiezza e modernità di vedute metodi operativi e risultati raggiunti l’opera di Alessandro Rossi.
Di antica e nobile famiglia veneziana, Nicolò Tron (1685-1772), membro in giovane età del Senato veneto, venne inviato nel 1715 presso la corte britannica come ambasciatore della Serenissima. Del soggiorno in Inghilterra il Tron fece tesoro, raccogliendo ogni dato utile per introdurre in patria, al suo ritorno, i metodi più avanzati per la filatura e la tessitura della lana. Rientrato a Venezia e trovate piuttosto sorde alle sue proposte le autorità della Dominante, spostò la sua attenzione su Schio ove sul finire del secondo decennio del XVIII secolo diede vita a un lanificio che ben presto divenne esempio per gli altri della zona. Nella nostra terra, che dal 1701 aveva ottenuto il permesso di fabbricare panni alti (cioè fini), il Tron portò tecnici ed istruttori stranieri, nuovi filatoi e il telaio con la navetta inglese «col mezzo della quale si poteva far a meno di un uomo nel lavoro al telaio, oltre di accelerare e perfezionare la tessitura dei pannilani».
Nel 1739 aprì in Schio un secondo opificio a ciclo di lavorazione completo, dando lavoro a ben 500 operai.
Dotato di notevoli mezzi finanziari ma soprattutto di grande apertura mentale, Nicolò Tron non perseguì egoisticamente il fine di arricchire, magari a danno dei locali operatori del settore laniero. Egli aprì anzi i suoi opifici ai fabbricanti scledensi di panni-lana perché ne potessero trarre gli opportuni vantaggi. Con iniziative tanto «rivoluzionarie» quanto benefiche egli pose nella nostra città le basi per quello sviluppo dell’attività laniera che interessò Schio nella seconda metà del ’700 e nell’età del Rossi.
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